domenica 23 maggio 2010

Il ruolo dell'adesione

I restauri sia conservativi sia protesici possono avvantaggiarsi delle moderne tecniche adesive in tre aspetti importanti per il clinico.

1. La funzione, perché una forte adesione del restauro può ripristinare le caratteristiche biomeccaniche originali della struttura dentale, indebolita a opera delle lesioni (carie o frattura) e della preparazione stessa (della cavità o del moncone).

2. La conservazione, perché la possibilità di far aderire i restauri consente di ridurre o eliminare l’asportazione a fini ritentivi di tessuto duro sano.

3. L’estetica, perché le procedure adesive permettono di utilizzare materiali privi di core metallico e pertanto dotati di più favorevole rapporto con la luce.
In una relazione eminentemente clinica conviene limitarsi a pochi aspetti fondamentali della classificazione e del meccanismo d’azione degli adesivi.

L’adesione può essere (A) di tipo chimico, in cui sono in gioco forze primarie, come quelle fornite da legami covalenti o ionici, e/o forze secondarie quali interazioni fra dipoli (ponti idrogeno, forze di Van der Waals) fra atomi e molecole dell’aderente e quelle del substrato; (B) di tipo micromeccanico, che sfrutta interdigitazioni resinose solide all’interno delle rugosità di superficie del substrato.

Al primo tipo di adesione si affidano tradizionalmente i materiali vetroionomerici, al secondo quelli resinosi compositi, con la precisazione che i moderni sistemi self-etching a 2 passaggi possono sfruttare anche il primo, grazie all’interazione chimica fra monomeri funzionali specifici e l’idrossiapatite residua presente nello strato ibrido.

Secondo una classificazione accreditata dalla letteratura internazionale gli adesivi attualmente presenti sul mercato si distinguono in a. di IV, V, VI e VII generazione.

Alla IV appartengono gli adesivi etch-rinse, che prevedono cioè la mordenzatura con acido (etch) e il risciacquo (rinse), finalizzati a rimuovere il fango dentinale e l’idrossiapatite dello strato superficiale della dentina; la dentina deve essere lasciata umida (wet bonding) onde evitare il collasso delle fibre collagene private del sostegno minerale; segue l’applicazione di un primer (soluzione acquosa o alcoolica, più raramente acetonica) e quindi di un bonding (resina fluida idrofoba).

La V rappresenta una semplificazione della IV in quanto primer e bonding sono presenti in un’unica soluzione.

Al successo di mercato non è corrisposta una performance di laboratorio e clinica dello stesso livello dei precedenti.

La VI generazione vede l’abbandono della mordenzatura separata con acido: è il primer (dotato di un pH più o meno basso) a svolgere l’azione condizionante sul substrato, nel quale il fango dentinale viene inglobato dalla resina e la dentina subisce una dissoluzione dell’idrossiapatite meno profonda e completa di quella operata dagli etch-rinse. Di qui il minor spessore dello strato ibrido e la possibilità di un legame chimico fra il calcio del minerale conservato e gruppi funzionali (per lo più fosfatici) presenti in alcuni monomeri resinosi deputati a questo.

Nella VII generazione si raggiunge la massima semplificazione riunendo in unica boccetta primer auto condizionante e bonding (all-in-one).
Volendo sintetizzare la vastissima letteratura sui diversi sistemi adesivi si può dire che quelli di IV generazione rappresentano a tutt’oggi il gold standard in termini di forza di adesione misurata in vitro e di performance clinica; al loro livello si avvicinano soltanto quelli di VI generazione, a patto che si migliori l’adesione allo smalto con la mordenzatura separata con acido ortofosforico.

Lo svantaggio di tale passaggio aggiuntivo è compensato da un minor rischio di sensibilità post-operatoria.

Un altro dato unanimemente riportato riguarda il ruolo preminente giocato dall’operatore nel determinare il livello di performance adesiva.
Agli adesivi di VII generazione, al di là dell’appeal esercitato dalla novità e semplicità, si riconosce quasi unanimemente un’affidabilità inferiore a quelli delle altre tre.
Nell’ambito degli studi orientati a superare il problema della diminuzione dell’adesione nel tempo per l’azione di fattori esterni, quali l’idrolisi indotta dall’ambiente orale e gli stress da carico funzionale, si è evidenziato il ruolo negativo svolto anche da fattori interni quali la degradazione del collagene dello strato ibrido da parte delle metallo-proteinasi presenti nella dentina. La verifica del potere inibente esercitato dalla clorexidina (CLX) su tali enzimi ha portato alla validazione di un passaggio ulteriore: dopo la mordenzatura l’applicazione per 30 secondi di una soluzione acquosa diluita (0.2 - 2%) di CLX.

Vale la pena ricordare il ruolo negativo che possono svolgere sull’adesione le procedure di sbiancamento chimico (mediante perossido di idrogeno o derivati), per cui si consiglia di attendere un periodo di almeno 15 giorni dopo l’ultima applicazione sbiancante prima di eseguire restauri adesivi.

Sintesi della relazione tenuta da Federico Ferraris al 51° Congresso degli Amici di Brugg di Rimini