lunedì 16 luglio 2012

CORTE UE : Non si paga per la musica: lo studio non è luogo pubblico


Le strutture private non devono pagare la Società Consortile Fonografici. Non sono luogo pubblico. L'annosa disputa legale si è conclusa con la vittoria di ANDI. Un risultato per tutti i professionisti. 


La Corte di Giustizia Europea ha pubblicato la sentenza con la quale si afferma che la diffusione gratuita di musica in uno studio odontoiatrico – ma il principio vale per ogni attività economica di tipo libero professionale – a beneficio della relativa clientela, non dà diritto alla percezione di un compenso a favore dei produttori fonografici.


La vicenda concerne alcune cause promosse dalla Società Consortile Fonografici quale mandataria dei produttori fonografici consorziati. Nell'esercizio della sua attività S.C.F. aveva intrapreso cause pilota contro alcuni dentisti appartenenti ad ANDI, al fine di far accertare che questi, nel proprio studio dentistico privato, diffondessero musica di sottofondo senza pagare alcunché ad S.C.F..


Le sentenze di primo grado risultavano vinte dai dentisti, col supporto fornito dall'ufficio legale Nazionale ANDI. S.C.F. impugnava le pronunce. La Corte d'Appello di Torino, rimetteva la causa alla Corte di Giustizia Europea, per accertare se il diritto europeo, che disciplina la materia, incidesse sull'esito della controversia e in quale misura.


Dinanzi alla Corte di Giustizia, S.C.F. sosteneva che la questione incideva non solo sulla categoria degli Odontoiatri, ma su tutte le libere professioni: i legali di ANDI Nazionale si opponevano motivatamente. I giudici europei, la cui sentenza ha un'efficacia normativa vincolante, accoglievano pienamente la tesi sostenuta da ANDI sin dal primo grado del giudizio, affermando che i pazienti di un dentista – come i clienti di ogni altro studio professionale - non possono essere qualificati come "gente in generale" dal momento che i medesimi sono tutti conosciuti dal professionista, che li riceve singolarmente e personalmente.


"Sono veramente molto soddisfatto del risultato raggiunto, – commenta il Presidente Nazionale Gianfranco Prada – che ribadisce il concetto fondamentale, da sempre sostenuto da ANDI, che lo studio professionale non è luogo pubblico".

domenica 15 aprile 2012

Odontoiatria preventiva: sigillature di solchi e fossette

I sigillanti costituiscono un importante presidio nei programmi di prevenzione della salute orale in quanto rendono le superfici dentarie inaccessibili all'impianto dei batteri responsabili dell'insorgenza della patologia cariosa a livello di quelli che sono dei” Loci minoris resistentiae'' della struttura dentale dei molari e premolari, ovvero dei solchi e delle fessure.
 
E' stato osservato, infatti, che i programmi preventivi basati unicamente sull'adozione dei fluoro sebbene incidano positivamente a livello delle superfici interprossimali, non costituiscono una adeguata barriera preventiva a livello delle superfici occlusali che sono per le loro caratteristiche anatomiche delle sedi facilmente soggette allo sviluppo della patologia cariosa. Nonostante in questi ultimi anni si sia verificata una ridotta incidenza della patologia cariosa, i periodi dell'infanzia e dell'adolescenza costituiscono ancora oggi delle fasce di età a rischio soprattutto per quanto concerne la suscettibilità alla carie di solchi e fessure. 
Volendoci attenere alla letteratura, le indicazioni che essa fornisce per quanto riguarda le applicazioni dei sigillanti sono le seguenti: 
  • primi molari permanenti per bambini dai 6 agli 8 anni
  • secondi molari permanenti per bambini dagli 11 ai 13 anni;
  • premolari in bambini ad alto rischio ovvero soggetti il cui stile di vita o una carente terapia di fluoro li rende maggiormente soggetti al manifestarsi di carie;
  • molari decidui.
La carie è una malattia sito-specifica e la maggiore suscettibilità di queste aeree è dovuta essenzialmente alla coincidenza di questi fattori:
La morfologia delle superfici occlusali caratterizzata dalla presenza di solchi e fessure che facilitano il ristagno della placca e dei detriti; non tutte le superfici occlusali, comunque, presentano la stessa tipologia di solchi e, di conseguenza ,la medesima predisposizione alla carie; attualmente i solchi vengono classificati in: 
  • Solchi piatti e aperti
  • Solchi a V
  • Solchi a goccia d’acqua o a I (molto ritentivi)
  • L’età del piccolo paziente; quando un molare erompe nel cavo orale il bambino non ha ancora acquisito una maturità neuromuscolare tale da consentirgli un’efficace azione detersiva tramite l’uso dello spazzolino; è da sottolineare che il picco eruttivo post-emergenza, vale a dire il tempo che impiega il dente per arrivare al tavolato occlusale è di 1-1,5 anni
  • La tensione superficiale della saliva che, in particolare nei solchi molto accentuati, impedisce al flusso salivare di detergere la superficie dentale.
  • Maturità dello smalto; quando un dente erompe lo smalto è ancora immaturo, in quanto nei cristalli apatitici sono presenti delle impurità che ne facilitano la demineralizzazione durante l’attacco acido. Solo permanendo nel cavo orale e attuando un’efficace fluoro profilassi lo smalto matura e diventa meno suscettibile agli attacchi acidi.
I sigillanti riconoscono tre generazioni di materiali da quando sono stati introdotti:
  • I generazione: costituita da elementi ottenuti per miscelazione dei metil -2 -cianoacri lato con il metil-metacrilato ed attivati per mezzo di luce ultravioletta
  • II generazione: costituita da elementi in cui il cianoacrilato è sostituito dal dimetacrilato che rappresenta il prodotto di reazione dei bisfenolo A con il glicidil-metacrilato (Bis-Gma). Sono autopolimeriz-zabili.
  • III generazione: costituita da elementi sempre a base di Bis-Gma ma polimerizzabili mediante luce alogena. 
Ormai in commercio vengono proposti solo le ultime due generazioni con percentuali diverse di riempimento del composito stesso. L'aggiunta di riempitivo ha lo scopo di rendere il prodotto più resistente all'abrasione ma comporta lo svantaggio di una maggiore viscosità e conseguentemente una notevole perizia da parte dell'operatore nel collocarlo in situ.
 Dal punto di vista cromatico i sigillanti si distinguono in:  
 
  • chiari
  • colorati
  • opachi
Il vantaggio di poter fruire di prodotti colorati ed opachi è dovuto al fatto che questi sono più visibili e quindi suscettibili ad una più facile e diretta osservazione clinica nel corso dei tempo.
Una ulteriore classificazione dei sigillanti potrebbe essere effettuata in base alla presenza o meno di fluoro nei composti. Generalmente l'incorporazione dei fluoro può avvenire con due metodi:
  • il sale fluorato solubile è aggiunto alla resina non polimerizzata: dopo che il sigillante è stato applicato al dente, il sale dissolve, e gli ioni fluorati vengono rilasciati;
  • un composto organico fluorato viene legato chimicamente alla resina ed il fluoro viene rilasciato dallo scambio con altri ioni.
Sui sigillanti contenenti fluoro sono stati condotti studi sia in vitro che in vivo ed entrambi hanno dimostrato un effettivo rilascio di fluoro. In vitro il maggior rilascio di fluoro si verifica entro i primi due giorni dall'applicazione dei sigillante mentre in vivo è stato osservato che la concentrazione di fluoro nella saliva incrementa significativamente entro 30 minuti dopo che il sigillante è stato collocato, ma ritorna ai livelli basali entro uno, due giorni.
L’orientamento della moderna odontoiatria preventiva è indubbiamente diretto verso trattamenti qualitativi che facilitino il controllo del materiale  posto nelle cavità naturali del dente e che ricerchino attendibilità e predicibilità del risultato senza tralasciare l’aspetto estetico.
 
Efficacia degli sigillanti
L'efficacia del sigillante nel prevenire l’insorgenza della carie è necessariamente associata al grado e alla durata della sua ritenzione nel punto in cui è stato posizionato. La ritenzione è: 
  • totale: se la sigillatura è integra; 
  • parziale: se si ha limitato distacco; 
  • nulla: se si và incontro a perdita completa.
La durata di un sigillante e la sua ritenzione sono strettamente correlati a:
  •  posizione del dente all’interno del cavo orale: più anteriormente è posto il dente maggiore sarà la ritenzione in quanto si è visto che le cavità naturali dei premolari risultano maggiormente ritentive di quelle dei molari; 
  • abilità dell’operatore: la bravura dell’operatore garantisce la maggior durata del sigillante; 
  • età del paziente: nei soggetti più giovani si riscontra una difficoltà oggettiva nell’isolare adeguatamente gli elementi da sigillare. Ciò è imputabile principalmente alla scarsa collaborazione del bambino e allo stato precoce d’eruzione dei denti su cui si interviene.
La principale causa di fallimento di una sigillatura è tuttavia riconducibile alla contaminazione del dente da parte dei fluidi organici durante al’applicazione del sigillante; ciò evidenzia l’importanza delle procedure tecniche e soprattutto il mantenimento di un campo operativo adeguatamente asciutto come condizione essenziale per il successo del trattamento.
E’ stato osservato come il distacco precoce del materiale avvenga per un errore di adesione piuttosto che per abrasione e usura e come questo avvenga più frequentemente nei tre mesi successivi all’apposizione. Inoltre i molari mascellari si rivelano maggiormente soggetti a totale perdita di sigillante, mentre per i molari mandibolari l’insuccesso è più frequentemente parziale.
La frattura tra sigillante e smalto, esaminata studiando alcuni campioni sia estrattivi sia in vivo attraverso microscopio a scansione elettronica, appare riconducibile ad alcuni fenomeni:
  • Presenza di aree non mordenzate, dovute ad una barriera morfologica rappresentata dai solchi più pronunciati allo scorrere dell’acido fosforico e successivamente del sigillante;
  • Persistenza nelle fessure di materiale organico nonostante la procedura di profilassi;
  • Riscontro di smalto prismatico, che di fatto limiterebbe la penetrazione della resina risultando scarsamente poroso anche previa mordenzatura.
A cura della Dott.ssa Murabito Marika

venerdì 28 ottobre 2011

Rialzo di seno mascellare


sabato 8 gennaio 2011

domenica 14 novembre 2010

MTWO, UNA NUOVA CONFERMA: COMPROVATA LA MASSIMA RESISTENZA ALLA FATICA DEL SISTEMA ENDODONTICO PIU' USATO IN ITALIA

Un ulteriore studio comprova la flessibilità degli strumenti Mtwo nonché la resistenza alla frattura dovuta ad accumulo di fatica del nichel-titanio. La flessibilità degli Mtwo è determinata prevalentemente dal disegno degli strumenti. La sezione ad “S italica” con la presenza di sole due lame determina che il corpo di questi strumenti contenga una quantità di metallo inferiore ad altri strumenti disegnati con sezioni a 3 o più lame di taglio; questa caratteristica rende gli strumenti Mtwo molto “snelli” e di conseguenza ne esalta la flessibilità e la resistenza alla fatica ciclica.

Lo studio dimostra che la resistenza a fatica dello strumento Mtwo 25/.06 in curvature apicali molto severe (angolo 90° e raggio 2mm) è statisticamente maggiore rispetto alla resistenza degli strumenti ProFile-Tulsa, ProFile-Maillefer, FlexMaster 25/.06 -VDW e ProTaper F2-Maillefer. Si può evincere da questo studio che l’utilizzo di questo strumento Mtwo garantisca una maggior sicurezza in questo tipo di anatomie.

Le caratteristiche degli strumenti al nichel-titanio permettono oggi di raggiungere l’apice e mantenerne la posizione originaria anche in anatomie che in precedenza sembravano impossibili da trattare con l’utilizzo dell’acciaio. La presenza di brusche curvature apicali è stata definita classicamente come una controindicazione all’utilizzo degli strumenti in nichel-titanio in rotazione continua, dato l’elevato rischio di frattura in questo tipo di anatomie, soprattutto per gli strumenti più grandi. Spesso si ha l’opportunità di diagnosticare radiograficamente queste brusche curvature apicali, ma purtroppo altrettanto spesso esse sono presenti in una proiezione non visibile dalla radiografia; per questo motivo l’utilizzo di strumenti che possano affrontare con maggiore sicurezza anche questo tipo di anatomie permette di effettuare trattamenti con minor rischio di errori iatrogeni.

Pubblicato su International Endodontic Journal, gennaio 2010, un recente studio di Plotino G, Grande NM, Melo MC, Bahia MG, Testarelli L, Gambarini G.
Int Endod J. 2010 Mar;43(3):226-30.

lunedì 2 agosto 2010

Diagnosi differenziale dei dolori dentali e oro-facciali

Nel gruppo dei dolori da patologie dentali si distinguono principalmente:
 
1) l'ipersensibilità dentinale,
2) la sindrome del dente incrinato,
3) i dolori da patologia pulpare,
4) i dolori da patologia periapicale;
5) i dolori da patologia parodontale.

Per comprendere le caratteristiche dei singoli quadri clinici e per orientarsi nella diagnosi differenziale, si deve sapere che la polpa possiede essenzialmente due tipi di fibre nervose. Uno è rappresentato dalle fibre A-δ, mieliniche, abbastanza grosse, con alta velocità di conduzione, che sono devolute in parte alla sensibilità dolorifica, peculiarmente alla sensibilità termica e tattile. Sono ubicate soprattutto alla periferia della polpa, particolarmente nelle zone dei cornetti e del tetto pulpari, mentre tendono a diminuire di numero, fin quasi a sparire, man mano che si procede apicalmente verso la zona del colletto. L'altro tipo è costituito dalle fibre C, nocicettive, amieliniche, essenzialmente dolorifiche, situate eminentemente al centro della polpa.   

Alcune caratteristiche di queste fibre aiutano nel porre meglio le diagnosi differenziali: le fibre mieliniche, periferiche sono più sensibili agli stimoli termici, sia al freddo che al caldo, quelle all'interno della polpa sono sensibili solamente (o quasi) al caldo. Le fibre più periferiche non tendono a dare dolore irradiato, cioè forniscono una sensazione dolorifica esattamente riferita alla zona dove vengono stimolate, mentre le fibre amieliniche possono dare molto spesso dolore irradiato. L'aumento della pressione pulpare, l'ipossia e l'infiammazione sono in condizione di attivare le fibre amieliniche, mentre le fibre mieliniche non sono sensibili o lo sono scarsamente a questi fenomeni. Quindi le fibre amieliniche sono coinvolte nei dolori che si avvertono quando c'è una compromissione, spesso irreversibile, della polpa. Si inquadrano ora questi concetti nelle cinque evenienze dolorifiche elencate sopra.

Ipersensibilità dentinale
 
Per ipersensibilità dentinale si intende una breve e violenta reazione dolorosa, provocata o in certi momenti spontanea, che parte dalla dentina esposta, scatenata da stimoli termici, meccanici e chimico-osmotici. Le teorie proposte per spiegare questa sensibilità aberrante sono tre. La prima, teoria nervosa, presuppone che le fibre nervose penetrino nei tubuli dentinali e quindi vengano stimolate direttamente o indirettamente tramite il fluido che riempie il lume tubulare. E' un'ipotesi ben suffragata da prove morfologiche: a livello dei cornetti e della camera pulpari la percentuale dei tubuli direttamente innervati ammonta al 45% del totale, mentre verso il colletto scende all'1,3%, nella radice poi addirittura allo 0,1% - 0,01%. Questo meccanismo spiegherebbe quindi soltanto la sensibilità legata alla metà coronale della camera pulpare.

La seconda, ipotesi odontoblastica, suppone che l'odontoblasta sia inteso come recettore, in contatto, mediante una sinapsi, con la fibra nervosa sensitiva. E' l'ipotesi più debole perché un recettore è una cellula che risponde in maniera violentissima a stimoli deboli,al contrario l'odontoblasta risponde molto lentamente a stimoli intensi.

Riguardo alla terza ipotesi, quella idrodinamica, secondo Gysi che la descrisse nel 1901, le fibre nervose contrarrebbero rapporto solo con il polo caudale dell'odontoblasta e verrebbero stimolate dagli spostamenti dell'odontoblasta che verrebbe stirato nel tubulo o schiacciato verso il centro della polpa, a seconda dei vari stimoli sulla dentina esposta. E' un'ipotesi suggestiva, però ha scarso supporto morfologico perché non spiega l'ipersensibilità, ad esempio al colletto o alla radice, dove gli odontoblasti sono praticamente privi di fibre sensitive poiché in queste zone non è presente il plesso di Raschkoff (che termina come visto a metà della corona).

Sono state avanzate altre teorie, quale quella dell'infiammazione neurogena, ma a tutt'oggi non sono disponibili ipotesi alternative, scientificamente dimostrate, circa l'ipersensibilità dentinale. Questa sindrome si instaura in presenza di dentina esposta (specialmente nell'area cervicale) per usura, abrasione, erosione, per difetti dello smalto oppure per cause iatrogene, quali procedure conservative, protesiche, parodontali, ortodontiche, chirurgiche ecc. L'odontoiatra deve essere in condizione di distinguere una ipersensibilità dentinale da uno stato pulpitico, anche perché molte volte le pulpiti esordiscono con sintomi di ipersensibilità. La sindrome da ipersensibilità dentinale è transitoria, alterna periodi di acuzie a periodi di quiescenza. Una conferma diagnostica si può avere (a prescindere da quale sia il meccanismo patogenetico) ripristinando la chiusura dei tubuli verso l'esterno con l'applicazione in studio di sealant, ossalati ecc., oppure mediante terapia domiciliare con fluoruri o altro: i sintomi cessano o diminuiscono in modo rilevante. Non è presente nessun segno radiografico.

Nel corso degli ultimi 150 anni si è impiegato un numero sterminato di sussidi per cercare di far fronte alla ipersensibilità dentinale: ciò significa che la patogenesi di questa sindrome è ancora tutta da scoprirsi al pari della sua specifica terapia.

La terapia è sintomatica, ha lo scopo, non sempre raggiungibile, di eliminare il sintomo principale che è il dolore, mediante l'occlusione dei tubuli. Ovviamente il carattere acuto, localizzato e transitorio del dolore indica chiaramente che esso è mediato dalle fibre A-δ. Se dopo la rimozione dello stimolo rimane il dolore o se questo insorge spontaneamente, significa che sono attive le fibre C, al centro della polpa e che è già in atto un danno pulpare.

domenica 23 maggio 2010

Il ruolo dell'adesione

I restauri sia conservativi sia protesici possono avvantaggiarsi delle moderne tecniche adesive in tre aspetti importanti per il clinico.

1. La funzione, perché una forte adesione del restauro può ripristinare le caratteristiche biomeccaniche originali della struttura dentale, indebolita a opera delle lesioni (carie o frattura) e della preparazione stessa (della cavità o del moncone).

2. La conservazione, perché la possibilità di far aderire i restauri consente di ridurre o eliminare l’asportazione a fini ritentivi di tessuto duro sano.

3. L’estetica, perché le procedure adesive permettono di utilizzare materiali privi di core metallico e pertanto dotati di più favorevole rapporto con la luce.
In una relazione eminentemente clinica conviene limitarsi a pochi aspetti fondamentali della classificazione e del meccanismo d’azione degli adesivi.

L’adesione può essere (A) di tipo chimico, in cui sono in gioco forze primarie, come quelle fornite da legami covalenti o ionici, e/o forze secondarie quali interazioni fra dipoli (ponti idrogeno, forze di Van der Waals) fra atomi e molecole dell’aderente e quelle del substrato; (B) di tipo micromeccanico, che sfrutta interdigitazioni resinose solide all’interno delle rugosità di superficie del substrato.

Al primo tipo di adesione si affidano tradizionalmente i materiali vetroionomerici, al secondo quelli resinosi compositi, con la precisazione che i moderni sistemi self-etching a 2 passaggi possono sfruttare anche il primo, grazie all’interazione chimica fra monomeri funzionali specifici e l’idrossiapatite residua presente nello strato ibrido.

Secondo una classificazione accreditata dalla letteratura internazionale gli adesivi attualmente presenti sul mercato si distinguono in a. di IV, V, VI e VII generazione.

Alla IV appartengono gli adesivi etch-rinse, che prevedono cioè la mordenzatura con acido (etch) e il risciacquo (rinse), finalizzati a rimuovere il fango dentinale e l’idrossiapatite dello strato superficiale della dentina; la dentina deve essere lasciata umida (wet bonding) onde evitare il collasso delle fibre collagene private del sostegno minerale; segue l’applicazione di un primer (soluzione acquosa o alcoolica, più raramente acetonica) e quindi di un bonding (resina fluida idrofoba).

La V rappresenta una semplificazione della IV in quanto primer e bonding sono presenti in un’unica soluzione.

Al successo di mercato non è corrisposta una performance di laboratorio e clinica dello stesso livello dei precedenti.

La VI generazione vede l’abbandono della mordenzatura separata con acido: è il primer (dotato di un pH più o meno basso) a svolgere l’azione condizionante sul substrato, nel quale il fango dentinale viene inglobato dalla resina e la dentina subisce una dissoluzione dell’idrossiapatite meno profonda e completa di quella operata dagli etch-rinse. Di qui il minor spessore dello strato ibrido e la possibilità di un legame chimico fra il calcio del minerale conservato e gruppi funzionali (per lo più fosfatici) presenti in alcuni monomeri resinosi deputati a questo.

Nella VII generazione si raggiunge la massima semplificazione riunendo in unica boccetta primer auto condizionante e bonding (all-in-one).
Volendo sintetizzare la vastissima letteratura sui diversi sistemi adesivi si può dire che quelli di IV generazione rappresentano a tutt’oggi il gold standard in termini di forza di adesione misurata in vitro e di performance clinica; al loro livello si avvicinano soltanto quelli di VI generazione, a patto che si migliori l’adesione allo smalto con la mordenzatura separata con acido ortofosforico.

Lo svantaggio di tale passaggio aggiuntivo è compensato da un minor rischio di sensibilità post-operatoria.

Un altro dato unanimemente riportato riguarda il ruolo preminente giocato dall’operatore nel determinare il livello di performance adesiva.
Agli adesivi di VII generazione, al di là dell’appeal esercitato dalla novità e semplicità, si riconosce quasi unanimemente un’affidabilità inferiore a quelli delle altre tre.
Nell’ambito degli studi orientati a superare il problema della diminuzione dell’adesione nel tempo per l’azione di fattori esterni, quali l’idrolisi indotta dall’ambiente orale e gli stress da carico funzionale, si è evidenziato il ruolo negativo svolto anche da fattori interni quali la degradazione del collagene dello strato ibrido da parte delle metallo-proteinasi presenti nella dentina. La verifica del potere inibente esercitato dalla clorexidina (CLX) su tali enzimi ha portato alla validazione di un passaggio ulteriore: dopo la mordenzatura l’applicazione per 30 secondi di una soluzione acquosa diluita (0.2 - 2%) di CLX.

Vale la pena ricordare il ruolo negativo che possono svolgere sull’adesione le procedure di sbiancamento chimico (mediante perossido di idrogeno o derivati), per cui si consiglia di attendere un periodo di almeno 15 giorni dopo l’ultima applicazione sbiancante prima di eseguire restauri adesivi.

Sintesi della relazione tenuta da Federico Ferraris al 51° Congresso degli Amici di Brugg di Rimini

sabato 6 marzo 2010

Chewing-Gum allo Xilitolo: qual'è l'effetto sui nostri denti...?

La salute orale riveste un’importanza fondamentale per il mantenimento del benessere sia fisico che psicologico dell’individuo. Nonostante i notevoli progressi scientifici, la carie dentale e la malattia parodontale rappresentano ancora un problema sanitarìo in molti paesi industrializzati e sono destinati ad aumentare nei paesi in via di sviluppo. Seguire una corretta ed adeguata igiene orale ed avere un’alimentazione ricca in fibre e povera dì zuccheri semplici sono i metodi migliori per proteggere la salute dei nostri denti.


Un ulteriore aiuto per la cura e il mantenimento dell’igiene orale, nelle situazioni in cui non è possìbile utilizzare i tradizionali strumenti di pulizia, viene dal chewing gum. La masticazione dei chewing gum svolge un valido effetto detergente attraverso l’azione meccanica di rimozione dei residui di cibo, alla quale si somma la contemporanea stimolazione della salivazione.

A rendere il chewing gum uno strumento ancora più efficace per l’igiene orale è la presenza dello xilitolo, un edulcorante naturale ipocalorico dotato dello stesso potere dolcificante dello zucchero; lo xilitolo ha la peculiarità dì non essere fermentato dai batteri della cavità orale e quindi di non consentire la formazione degli acidi che demineralizzano lo smalto dentale; la sua attività principale risiede nell’effetto inibitorio dello Streptococcus Mutans, il più importante organismo responsabile della formazione della carie.

Numerosi studi clinici hanno dimostrato che il consumo di chewing gum allo xilitolo per lunghi periodi si associa ad una significativa diminuzione della crescita e dell’adesività della placca batterica comportando quindi una riduzione dell’incidenza della carie tra il 30% e l’85%. E’ stato anche dimostrato che l’assunzione di xilitolo da parte della madre riduce la trasmissione al bambino dello Streptococcus mutans; un recente studio condotto dall’Università di Turku, in Finlandia, su madri di neonati che hanno consumato regolarmente chewing gum allo xilitolo per tutta la durata dello studio (da 3 mesi prima della nascita dei bambino fino a 24 mesi dopo), ha dimostrato che la presenza dello Streptococcus mutans e della placca nei loro bambini era di circa 3-5 volte inferiore rispetto ai figli delle madri che non avevano assunto xilitolo. Quindi, nelle situazioni in cui non è possibile utilizzare i tradizionali strumenti per l’igiene orale il chewing gum allo xilitolo rappresenta un prezioso ausilio e un efficace strumento dì prevenzione dell’insorgere della carie.

mercoledì 30 dicembre 2009

Faccette Lumineers

Nove pazienti su dieci ritengono che il sorriso sia un aspetto importante e credono che potrebbero averne uno piu’ attraente. Nonostante cio’, essi sono spesso riluttanti ad andare incontro alle estenuanti sedute dal dentista che comprendono anestesie e fresaggi delle superfici dentarie da modificare.
Inoltre il dolore e’ proprio la prima ragione per cui le persone non vogliono recarsi dal dentista.
I pazienti esigono procedure non invasive e senza dolore e la tecnica Lumineers e’ la giusta opzione di scelta.
COSA DIFFERENZIA LE LUMINEERS DA TUTTI GLI ALTRI TIPI DI FACCETTE? 
Le Lumineers prodotte dalla ditta Cerinate, le cui ceramiche hanno studi clinici a 20 anni, sono delle sottilissime faccette in ceramica integrale, spesse come lenti a contatto, che permettono di migliorare radicalmente un sorriso in modo completamente indolore.
A differenza infatti delle tradizionali faccette, questa metodica non comprende nessuna riduzione di tessuto dentale nella maggior parte dei casi e quindi nessun tipo di anestesia.
Una piccola finitura cosmetica entro lo smalto dei denti puo’ essere richiesta in alcuni casi. Questo metodo elimina l’esigenza di anestesia, filo retrattore(le faccette non vengono posizionate sotto il margine gengivale) e provvisori; inoltre non si ha nessuna sensibilita’ post operatoria ed il procedimento e’ al 100% reversibile.
Le Lumineers danno la possibilita’ per una soluzione permanente i tutti quei casi in cui l’individuo e’ insoddisfatto del proprio sorriso a causa di discolorazioni dei denti oppure e’ insoddisfatto della forma dei propri denti o li ha non ben allineati e non vuole andare incontro a lunghe e dolorose sedute dal proprio dentista ed essere sottoposto ad anestesie per nulla confortevoli.
I sorrisi piu’ belli si ottengono quando vengono trattati piu’ denti. 8, 10 Lumineers danno come risultato un sorriso molto piu’ estetico ed attraente.
Con questa metodica in sole due sedute il sorriso migliora in modo completo ed indolore, con risultati permanenti nel tempo ed in modo inaspettatamente piacevole.
Il procedimento comprende una prima visita in cui il dentista prende le impronte delle arcate del paziente e si decide in quale modo si vuole migliorare l’aspetto del sorriso, analizzando la forma esistente o desiderata ed il colore.
Le impronte vengono poi inviate negli Stati Uniti, alla Cerinate, dove vengono fabbricate le faccette.
Una volta arrivate, le faccette vengono poi provate, anche per controllare il colore del composito da utilizzare ed, infine, cementate per mezzo di un efficace metodo adesivo.
L’adesione avviene tra lo smalto del dente naturale e la faccetta in ceramica e, questo tipo di adesione e’ molto piu’ resistente ed affidabile rispetto all’adesione della dentina.